S1 TRAIL – LA CORSA DELLA BORA

CIAO A TUTTI

E' passato un lungo anno prima di poter indossare nuovamente un pettorale, prima di poter tornare tra i monti, tra le cime, tra i sentieri, tra le salite più impervie e le discese più tecniche, è stata come la prima volta, perché dopo cosi tanto tempo la mente dimentica tutte quelle sensazioni, tutte quelle emozioni che questo sport ci regala, sia che esse siano positive, sia che esse siano negative.

IL TRAIL DELLA BORA è un’idea last minute, dettata dall’astinenza da competizioni che ormai ci imbrigliava dallo scorso Febbraio tra dpcm, restrizioni e rotture di scatole annesse e connesse.

In tempi di pace mai avrei preso in considerazione la possibilità di partecipare ad un Trail lungo ed impegnativo in pieno inverno, nel profondo nord-est del paese, con temperature che solitamente non percepisco, che vedo solamente scritte in sovraimpressione quando guardo il meteo in tv. Che cosa significa zero termico e raffiche di bora che ti tagliano il viso cosi all’improvviso, sono come un missili, hai il tempo di sentirne il suono, capisci che sta arrivando ma non lo riesci a vedere, l’unica certezza è quella che ti colpirà.

Ma la voglia era tanta che mi sono armato di coraggio e sono partito.

La manifestazione è stata organizzata in maniera impeccabile seguendo tutte le attuali (eccessive) normative anti-covid in vigore, agli organizzatori vanno i miei più sinceri complimenti. E’ stato dato un segnale forte, se si vuole si può nella vita, sempre.

Sono partito con la seconda ondata intorno le 10,30, gruppi scaglionati e nessun assembramento.
Ho cercato in tutti i modi di proteggermi dal gelo, indossando due maglie tecniche, una maglia a manica lunga termica, un guscio e come ultimo strato di protezione un altro guscio della Marina che definire “stagno” è poco. Per la testa ho optato per un cappello pesante ed aderente cui sopra ho aggiunto un buff doppio strato felpato all’interno, il tutto bloccato dal fissaggio della Petzl che ha agito da perfetto collante. Al collo doppio buff per proteggere bocca e naso. Tre strati di guanto per entrambe le mani (la mia parte più vulnerabile) e sotto panta-calza termica, pantaloncino lungo e sopra pantalone tecnico anti-pioggia ed anti-vento.
Calze lunghe e le mie strepitose Hoka Speedgot ai piedi.

I primi dieci chilometri li ho passati a cercare ogni pretesto buono per ritirarmi e fermarmi, trovare un pretesto è la cosa più facile del mondo, ma avrei solo ingannato me stesso, potevo correre, potevo continuare, ero nelle condizioni di poterlo fare ed allora c’ho provato.

Il freddo ed il gelo sono i miei nemici più grandi, chi mi conosce lo sa, non mi fanno paura ne i chilometri, ne dislivelli, ma mettimi anche solo freddo e gelo e non riesco a stare in giro più di un’ora.

La prima salita è stata abbastanza impegnativa anche perché affrontata in uno stato mentale di sconforto, quando sei sconfortato tutto sembra più difficile ed insuperabile, non so cosa arde dentro me stesso, ma in condizioni estreme riesco sempre a tirar fuori quel qualcosa in più di positivo che riesce a stanare il negativo facendomi andare avanti, questo vale non solo nello sport, vale per tutto nella vita.
Ripeto sempre che lo sport, spesso, è specchio di vita, è metafora di vita, ed è vero, chi fa sport, chi ce lo ha dentro che gli scorre nelle vene trova sempre in qualsiasi situazione la forza, un motivazione, uno spunto, la grinta, per lottare e vincere. Abbiamo una marcia in più, vale in tutti i contesti della vita.

E’ un pensiero che per me è basilare nella vita, tutto si sistema se lo si vuole, l’unico momento in cui non potremmo più mettere a posto le cose (per motivi puramente pratici) è quando torniamo al creatore.
Ma questa è un’altra storia.

Conoscendomi, saprete che spesso mi piace viaggiare su più livelli durante un racconto, perché ogni racconto rappresenta un’esperienza di vita e mi piace lasciare (a chi legge) non solo il lato sportivo delle mie avventure, ma anche la traduzione che ne traggo nella vita di tutti i giorni, perché c’é una forte correlazione tra le parti.
Mi piace lasciare un “segno” è per riuscire a lasciare un “segno” devi entrare non solo nel lato sportivo del lettore, ma anche in quello umano. Perché prima che Dottori, Avvocati, Impiegati, Ultra-runners, Piloti o chissà cos’altro, siamo tutti delle semplici persone.

Torniamo alla gara, siamo circa al decimo, qui inizia un tratto scorrevole su strada forestale dove inizio a tirare in maniera importante, avevo deciso di continuare ed allora dovevo cercare di farlo nel migliore dei modi, scalo diverse posizioni ed arrivo al primo ristoro (23esimo chilometro circa) con gambee corpo caldo e tonico.
Purtroppo, non abbiamo potuto usufruire dei soliti ristori cui si ha necessità durante competizioni di endurance di questo livello.

Lo staff é stato anche sotto questo punto di vista molto efficiente fornendo ad ogni corridore dei sacchettini pre-confezionati di tre tipi (frutta, dolce, salato) oltre a diverse bevande calde e brodi.
Ho patito questa “povertà di scelta”, perché, uno come me che soffre terribilmente queste temperature richiede al proprio corpo il triplo delle energie rispetto (alle condizioni normali) solo da spendere per il riscaldamento del corpo stesso.

Correndo su queste montagne ho pensato alle vicende dei piloti NATO abbattuti durante la guerra nella ex-Jugoslavia nei primi anni 90, uno di loro due, (l’altro ferito fu trovato dalla milizie serbe e giustiziato) si ritrovò per giorni, (creduto anch’esso morto dalla NATO) a sopravvivere tra le montagne non troppo a Est rispetto a dove si stava svolgendo la nostra gara.
Che incubo che sarà stato, vi è stato prodotto anche un film “Behind Enemy lines”, che vi consiglio. Di seguito invece il link alla vicenda – https://it.wikipedia.org/wiki/Behind_Enemy_Lines_-_Dietro_le_linee_nemiche

Da qui si ripartiva verso la cima più alta della catena del Carso dove abbiamo trovato neve, ghiaccio ed essendo esposti e non più coperti dal bosco, le terribili raffiche di bora che senza pietà colpivano a destra, sinistra, davanti e dietro a loro discrezione. L’unica possibilità era quella di continuare a correre e sperare nell’arrivo della discesa per scendere di quota. E’ stato il momento più duro di tutta la gara, saranno state le 3,30/4 di notte quando ho attraversato questo tratto.

Dopo la cima è iniziato un sali scendi molto tecnico e devastante per muscoli e testa (in cui diverse volte siamo passati vicino alla frontiera con la Slovenia che si trovava proprio li ad un passo), la salita tecnica, con molta pazienza e perseveranza l’affronti, ma la discesa in piena notte (cosi tecnica) diventa veramente impegnativa. Se non sei sul pezzo al 150%, ti ritrovi faccia a terra.

Qui si viaggia al confine tra ciò che amiamo fare e ciò che nello stesso tempo odiamo. Ma é cosi, non c’é una spiegazione logica o scientifica a questo fenomeno. Sei li, da un lato soffri da morire, non vedi l’ora che finisca, dall’altro vorresti che non finisse mai.

Ho cercato diverse volte di reintegrare con barrette e gel, ma a quelle temperature (da freezer) le barrette erano pietre con le quali rischiavi di romperti i denti, ed i gel diventati solidi, da mangiare a morsi.
Come sempre, si deve fare di necessità virtù, cosi ho fatto anche io.

Al 45° esimo km abbiamo mancato (insieme ai tre ragazzi con cui stavo correndo quel tratto) il ristoro della base vita, era in fondo ad un single track molto ripido che ci ha talmente impegnati a livello fisico e mentale da non vedere la freccia (che indica la base vita) proseguendo nella successiva salita. Arrivati al 46° esimo circa, abbiamo capito che c’era qualcosa che non andava e tornando indietro ci siamo resi conto di aver saltato la base vita, un passaggio fondamentale per poter portare a compimento la gara, anche perché, vi era un punto di controllo che non si deve assolutamente mancare, pena la squalifica.

Un’altra impegnativa salita seguita da un tratto forestale di circa una decina di chilometri mi hanno portato al 58° esimo, dove ho incontrato un ragazzo con il quale abbiamo condiviso la parte finale della gara. Finalmente iniziavano ad esserci i primi scorci di luce, un’alba che non arrivava mai, saranno state le 7,30 prima di poter spegnere la frontale. Lo scorcio del golfo di Trieste e di tutta la costa Friulana hanno accompagnato i sentieri fino circa al 75° esimo.

Ero veramente cotto, ma a livello agonistico, la prestazione iniziava a soddisfarmi, avevo effettuato una bella rimonta raggiungendo e superando buona parte dei corridori della prima ondata di partenza.
Gli ultimi 5 chilometri ho gestito tra corsa e camminata veloce in quanto i dolori diffusi, dalla schiena a tutta la muscolatura ed al tronco, non erano normali, sono arrivato in 11h30 completamente “spappolato”

Ho corso gare molto più lunghe, ma ci si arriva in condizioni di competizioni ed agonismo costante durante tutta il corso della stagione, la testa ed il corpo sono preparati alla battaglia, sia fisica che emotiva, qui ci si arriva dopo un’anno di stop, correndo da soli senza stimoli o competizioni.
Tecnicamente sono contento, ora cercherò di fare una gara al mese fino al mese di Maggio quando qui in Sicilia finalmente riprenderà il circuito Trail, a fine Agosto mi aspetta nuovamente la vetta del Trail Mondiale, per la seconda volta sono riuscito a qualificarmi per l’UTMB

A presto, un’abbraccio per tutti
Francesco

STRAVA –