THE ABBOTS WAY BACK TO LIFE

Ciao a tutti,
finalmente dopo oltre un anno si ritorna in gara (a parte il breve e gelido capitolo del Trail della Bora, lo scorso Gennaio), si ritorna a vivere ed assaporare quelle sensazioni che tanto amiamo, la sofferenza, lo sforzo, la sfida alla montagna ed alla natura, il piacere di staccare con il mondo per diverse ore e preoccuparsi solamente di, dislivelli, ristori, discese, single track, altimetrie, classifiche, fiumi, ruscelli, tronchi, neve, freddo, caldo, sole, vento, di lampade frontali, di seguire le balise nelle lunghe notti, di non perdersi, del gestirsi, del saper gestire tanto la propria mente quanto il proprio corpo, e di tante tante altre piacevoli cose.

Per 20h su quelle montagne la pandemia non c’è, le restrizioni non c’è, non ci sono zone rosse, arancioni, gialle, lassù è tutto verde, verde Madre Natura, verde Libertà, quella che tutti abbiamo il diritto di avere. Tutti i problemi che la pandemia ci ha portato nel quotidiano non ci sono, tu sei lassù e da lassù guardi in giù e pensi “Cazzi vostri, qui il covid non c’è, siamo uomini e persone libere”, credetemi, non è poco di questi tempi.

E’ solo un piccolo “prologo” per spiegarvi che in questa particolare occasione la prima cosa che tutti noi Atleti abbiamo respirato sugli Appennini è stata questa sensazione di leggerezza e libertà, di ritorno alla Natura.

The Abbots Way l’avevo già corsa nel lontano 2016, “La via degli Abati”, un percorso che da Bobbio in Emilia ti porta a Pontremoli in Toscana, tra borghi medievali nel cuore dell’Appennino.

Ricordo perfettamente che il giorno successivo alla gara avevo grandissimi problemi anche solo a muovere due passi uno dietro l’altro, questo perché l’Abbots way è una gara “bastarda”, ti permette di correre a ritmi sostenuti ma poi ti devasta con salite micidiali e discese ripide e lunghe, un mix letale per ogni normale fibra muscolare.

Quest’anno il programma ha previsto la partenza in notturna, una formula che non gradisco particolarmente ma che ormai caratterizza la maggior parte degli Ultra Trail, non la gradisco perché hai tutto il giorno per pensare troppo ed arrivo allo start con un livello di ansia massima.

Prima di percorrere 120km in montagna se non hai ansia menti spudoratamente.

Mi sono allenato molto bene in questi mesi senza competizioni, punto fortemente a chiudere nei primi 15/20 con un timer inferiore alle 18h, una forbice tra le 16h30 e le 17h30, il problema è che come chiunque altro mi sono solo potuto allenare, di conseguenza corpo e mente hanno dimenticato cosa vuol dire correre un ultra trail, hanno dimenticato cosa vuol dire competere, organizzare una gara, pianificare una strategia e tante altre cose, tanti altri particolari che si rivelano fondamentali in competizioni di questo genere.

Fa freddino nella medievale Bobbio ed allo Start, come sempre, patisco questa condizione, dei primi 20 km non ho un granché di ricordi, ho mangiucchiato qualche barretta e preso un gel perché sentivo freddo, mi sentivo debole, da qui ho iniziato a carburare ritrovandomi al primo ristoro “Large” (che identifica un ristoro con cibo salato, dolce e liquidi, a Farini, 25° km) preceduto dall’ascesa alla prima vetta abbastanza impegnativa in quanto come vi raccontavo in precedenza i dislivelli sono tutti concentrati, quindi c’è da rompersi il di-dietro per scalare e poi per scendere in velocità, qui ho potuto bere e mangiare qualcosa di caldo ed è iniziata veramente la mia gara.
Al rilevamento occupavo la 35 esima posizione quindi in linea per scalare la classifica rispetto agli obiettivi che mi ero prefissato.

Da qui è partita la scalata alla seconda vetta, il punto più alto della gara, Monte Lama, la temperatura è scesa sensibilmente, circa – 5, raggiungo un gruppo di Trailers che stavano correndo la 90 km tutti Bergamaschi tra i quali un’amica (Cinzia), ex Nazionale di Trail Italiano che mi ha “salvato” fornendomi uno dei suoi scalda mani, essenziali per uno come me visto che con tre strati di guanti sentivo già il torpore dell’ipotermia, ho iniziato a stringere e passarlo di mano in mano, in poco tempo ho raggiunto una situazione di minimo comfort, che mi ha permesso, tra le altre cose, di poter impugnare con forza i bastoncini potendo esercitare la pressione necessaria sul terreno in maniera tale di essere supportato durante le salite, sembrano piccoli particolari ma in realtà sono condizioni importanti per portare a termine la gara, vi spiego il perché.

Utilizzando i bastoncini in salita distribuisci parte dello forza tra spalle, braccia, mani, polsi e parte del tronco superiore del corpo, non devi caricare tutto sulle gambe, questo permette ad esse di impegnarsi di meno, di conseguenza di subire meno rotture fibrillari, meno microlesioni, di tenersi più fresche e reattive per il resto del percorso.

Ho scollinato insieme al mio “eroe” (Lorenzo) , nel senso che con una temperatura abbondantemente sotto lo zero, con un vento gelido e con banchi di neve ai nostri piedi, era tranquillamente smanicato, senza guanti, con calzini e pantaloncini cortissimi, Io ero atrofizzato dentro i miei 5 strati corporei e lui fresco come a Copacabana.

Da qui abbiamo iniziato la discesa verso il Castello di Bardi (63° km circa) dove sono arrivato intorno al 30° esimo posto in perfetto tempo anche con il crono.

Saranno state le 3.30, le 4 del mattino ed ho potuto finalmente rifocillarmi bene, questo è un ristoro Large, abbiamo potuto mangiare una bella pasta calda al volo e si riparte carichi a mille. La botta di energia ti arriva nel giro di qualche minuto e puoi correre quanto e come vuoi.

Da Bardi una salita devastante, veramente devastante e ripida ha distrutto ogni resistenza e forza, il ristoro successivo di Osacca (73° km) sembrava non arrivare mai, è stato un incubo. L’unica nota lieta è stata il sopraggiungere dell’alba che mi ha permesso di staccare la frontale e stoppare il cerchi o in testa figlio delle dieci ore esercitate dall’elastico della frontale stessa.

Siamo arrivati ad Osacca più o meno con lo stesso gruppo con cui si stava già correndo da una 40 ina di chilometri.

Un veloce sali e scendi ci accompagna fino all’ultimo ristoro Large (Borgovalditaro 87° km), 8,45 circa del mattino quindi 12h45 di gara, per colazione un altro piattone di pasta e di nuovo a zampettare verso l’ultimo scollinamento importante verso il 100esimo km.

In realtà mica era colazione, in queste circostanze il circolo regolare del quotidiano non conta più, conta solo ciò di cui senti hai bisogno.

Scollino sempre con Lorenzo, inizia la discesa, l’ultima, di circa 15 km verso Pontremoli, qui succede il pata-track, da buon Atleta durante una competizione in cui dai tutto e vai per ottenere un risultato sei conscio che l’infortunio può sopraggiungere da un momento all’altro, fa parte del gioco, dell’agonismo, della sfida.

Il mio è un infortunio a metà definiamolo cosi, una sofferenza da stress cui il corpo non era più abituato, dietro il ginocchio nell’inserzione tra diverse fasce muscolari è successa qualcosa, quindi posso correre sul piano (inteso come tratto pianeggiante), posso correre in salita, ma non posso farlo in discesa, perché in discesa scarichi tutto verso il basso e quindi il dolore ti blocca completamente.

Sono stati 15km infernali sorretto sui bastoncini, provando strappetti di corsa di 500/700 mt, fino a quando non mi sono potuto più permettere neanche questi ed ho dovuto “strisciare” fino al traguardo.

Ho perso 20 posizioni e 3h abbondanti, ma ripeto, fa parte del gioco e non ci si può fare nulla.
L’alternativa è ritirarsi, ma é difficile che io prenda la decisione di ritirarmi in gara.

Si accetta la condizione, si striscia e si guarda subito al prossimo obiettivo.

Ho chiuso il mio ritorno alla Vita in 20h, 20h di Vita e di felicità.